Dopo la Turchia è stato sicuramente il viaggio più bello; purtroppo posso darvi solo qualche spunto perché come sapete vado esclusivamente a memoria.

La prima tappa sarà la città di Fez; ovviamente faremo un paio di soste in Spagna, quindi il vero viaggio inizierà al confine ispanico-marocchino dove con la dovuta calma affronteremo il passaggio in dogana.

Espletate le formalità, riusciamo a raggiungere il nostro obiettivo la mattina del terzo giorno di viaggio; trovato un albergo che ci soddisfa, scarichiamo i bagagli, ci rinfreschiamo e poi facciamo un tour panoramico in moto, anche per capire e decidere cosa visitare nei giorni seguenti.

La vacanza in questa città si prolunga più del previsto perché Barbara ha qualche “problema di ambientazione” che ci bloccherà per un giorno intero; riusciremo poi a fare le dovute visite, anche aiutati, per un’intera giornata, da una giovanissima guida indigena che, alla fine, non ho malmenato solo perché era un ragazzino.

Almeno abbiamo subito capito che in Marocco si contratta su tutto, prima, durante e dopo; una continua ed estenuante battaglia sui prezzi.

Fez è molto bella e, nel giro turistico, facciamo anche acquisti importanti.

Successiva tappa Erfoud come base per raggiungere l’avanguardia del deserto sahariano: Er Chebbi. Per me la parte più bella del viaggio.

Le strade che percorriamo sono fantastiche, i paesaggi coinvolgenti con la prevalenza del colore rossastro che contraddistingue le terre aride dei questi territori; tale scenario viene spezzato da zone verdi lussureggianti di flora locale che annunciano zone abitate.

Giungiamo a destino, fa un caldo-umido infernale, l’aria nel casco è quasi irrespirabile e alzare la visiera è peggio, perché si ha la sensazione di soffocamento; sembra di essere in una sauna.

Arrivati in albergo, per fortuna con camere climatizzate, con Maurizio decidiamo, prima di rinfrescarci, di fare un minimo di manutenzione alle nostre moto; lasciamo le mogli in doccia e noi usciamo leggeri convinti di patire meno caldo.

Niente di più sbagliato; capiamo, così, perché loro sono ben vestiti.

All’area di servizio provvediamo al rifornimento di carburante ed ingrassiamo le secche catene; subito dopo rientriamo al fresco delle nostre dimore provvisorie.

Usciamo solo in tarda serata nella speranza di un maggior refrigerio, ma niente da fare; allora tentiamo la buona sorte dentro un ristorante dove, però, mangiamo velocemente perché seduti su sedie calde che sembrano essere ancora sotto il sole.

La visita alla cittadella sarà breve e rimandata al giorno dopo.

La mattina seguente proviamo a fare i turisti, una fatica enorme, e nel girare riusciamo anche ad organizzare, per il giorno seguente, la gita al deserto con guida locale.

La mattina ci troviamo con un giovane ragazzo che parla anche italiano decentemente; ci farà strada a bordo dell’auto di una coppia di spagnoli con cui facciamo subito amicizia.

Avanti loro e dietro noi, procediamo per buona parte su una “non strada” ossia attraverso un zona desertica sassosa, non sabbiosa, compatta che ci permette di viaggiare abbastanza tranquilli; arriviamo nel primo pomeriggio al bivacco, una struttura fatiscente fatta di paglia e fango davanti a fantastiche dune desertiche di sabbia finissima.

Io e Maurizio non resistiamo e ci buttiamo dentro con le nostre moto scoprendo che è praticamente impossibile muoversi là dentro; rimaniamo impantanati e, non senza notevole difficoltà, riusciamo a venirne fuori. Avremo fatto si e no 50 metri nel deserto, sudando le famose sette camicie.

Parcheggiamo le moto e ci prepariamo alla cena non prima di goderci uno stupendo tramonto. Ci troviamo a tavola che è buio pesto, saremo una ventina di persone giunte in quel luogo sperduto con i mezzi più disparati; la carente illuminazione è composta da un filare di lampadine penzolanti, collegate ad un rumoroso generatore diesel poco distante che, con il suo funzionamento altalenante, offre una luce discontinua.

Meglio, così evitiamo di vedere cosa e dove stiamo mangiando; tutti peschiamo a mani nude da un unico pentolone di cous cous e, seppur dubbiosi del rispetto di qualsiasi norma igienica, mangiamo di gusto anche perché non c’è altro.

Il cielo è nitidissimo, la luna è stupenda e illumina quasi a giorno le dune; con mia moglie decidiamo di fare un passeggiata.

C’è una leggera brezza e ci incamminiamo in questo saliscendi di sabbia morbida, coinvolti dalla luce del satellite terrestre; mentre proseguiamo sparisce gradualmente ogni rumore e ci troviamo nel silenzio assoluto nel nulla del deserto.

Si perde quasi totalmente l’orientamento in quella situazione ma avanziamo ancora, convinti di poter tornare indietro facilmente seguendo, al ritorno, le nostre orme lasciate nel precedente passaggio.

Ad un certo punto ci giriamo e vediamo solo e null’altro che sabbia; ci prende un po’ di timore, siamo totalmente soli e non ci rendiamo conto assolutamente di dove possiamo essere.

Torniamo indietro seguendo l’istinto e dopo qualche duna il brusio del campo ci fa da guida: per me rimarrà una sensazione stupenda.

E’ l’ora di dormire e decidiamo di farlo sul tetto del capanno (le stanze sono orribili e i letti peggio che dormire per terra); decidiamo di alzarci prestissimo per prendere i cammelli di alcune guide locali per potarci a vedere l’alba nel mezzo alle dune. Trattiamo il prezzo, ma sul momento non riusciamo ad accordarci e pensiamo che la mattina le guide saranno più malleabili.

E’ veramente tutto magnificamente surreale, nonostante la quantità di persone; sembra di essere in un’altro mondo, in un altro pianeta.

E’ fresco, l’escursione termica è discreta, la brezza leggera, ma costante, ci costringe a dormire con le giacche da moto. In un’attimo mi sveglio, c’è già luce, sono circa le quattro del mattino; ho 10 cm di sabba che lambiscono la mia spalla e il mio orecchio, c’è ancora la brezza, sono un po’ infreddolito, la finissima sabbia si insinua anche nei miei occhi.

Sveglio gli altri, dobbiamo andare subito a trattare con le guide per l’uscita con i cammelli, ma ci blocchiamo immediatamente perché vediamo che si stanno già avviando con altri passeggeri; non importa, restiamo sul tetto, afferriamo le nostre fotocamere e siamo pronti a catturare le immagini al comparir del sole.

Spettacolare veder emergere da quella distesa rossastra una palla di fuoco; ce la godiamo veramente tutta.

Arriva l’ora di ripartire, ma durante il rientro faremo visita anche ad un oasi non distante dove vedremo come gli abitanti hanno rubato terreno al deserto.

In serata siamo di nuovo al nostro albergo, di nuovo ad Erfoud, dove riposeremo il giorno seguente prima di ripartire.

Obiettivo successivo sarà Ait Ben Haddou, luogo famoso perché vi hanno girato scene di alcuni films famosi; prima di giungervi facciamo una piccola tappa a Ouarzazate, ma francamente non ricordo quale sia la motivazione.

Proseguiamo e raggiungiamo la piccola cittadina, da lontano fa un certo impatto; alloggiamo in un albergo fuori dal centro storico, che ci offre comunque una bella visuale del vecchio borgo, che sembra una fortezza fatta di fango e paglia.

Il giorno seguente, rigorosamente a piedi (solo così si può accedere), andiamo in visita alla cittadella; è, molto caratteristica, però, tolta la spettacolare vista dal punto più alto del sito, almeno per me, non lascia nessuna particolare sensazione.

E’ molto caldo e, assetati, otteniamo la cordiale assistenza di un abitante che ci offre ospitalità nella frescura della sua antica casa; ringraziamo e torniamo verso l’albergo. Per strada troviamo un incantatore di serpenti che attira la nostra attenzione e convince uno di noi (non mi ricordo chi) a toccare il suo cobra.

Finisce qui la visita e ci prepariamo a ripartire; Marrakesh non è distante e vogliamo raggiungerla il prima possibile.

Arriviamo a metà pomeriggio, abbiamo tutto il tempo per trovare una valida sistemazione; presto siamo pronti per un primo sopralluogo serale e notturno.

Il mattino seguente facciamo una lunga visita al souk, molto bello per quanto caotico, dove vediamo cose strane fatte con materiali di recupero, tipo otri fatte con vecchi copertoni usati.

La visita sarebbe stata fantastica se non fosse che a Maurizio gli hanno fregato il portafoglio dal marsupio; inutile capire come sia successo, e perderanno un sacco di tempo per fare una faticosissima denuncia alla polizia locale (immaginate le difficoltà a farsi capire), necessaria solo ad avere la possibilità in frontiera di recuperare il permesso di passaggio della moto di Maurizio senza il quale non potremmo uscire dal paese.

Già, al fine di evitare importazioni abusive di veicoli, all’ingresso in dogana rilasciano ai turisti con mezzi propri un documento d’importazione provvisorio con i dati del veicolo; questo “fazzoletto di carta” deve essere obbligatoriamente restituito all’uscita dal paese per dimostrare la proprietà del mezzo. Vi lascio immaginare le spiacevoli conseguenze.

Al brutto inconveniente del mio compagno di viaggio, si aggiunge la notizia di un attentato ad un albergo della città; ne veniamo a conoscenza casualmente e la conferma l’abbiamo la sera, quando telefoniamo a casa e sentiamo i parenti preoccupati per la notizia riportata sui nostri Tg nazionali. Li tranquillizziamo e dopo valutiamo di anticipare il rientro, anche per gli eventuali problemi che potremmo avere in dogana.

Quindi, rinunciamo alla visita di Agadir, sull’oceano, dove volevano goderci un piccolo soggiorno al mare; ripartiamo il mattino seguente per tornare a casa, non prima di aver fatto visita a Rabat, la capitale.

Il viaggio è rallentato da molti posti di blocco, conseguenti agli eventi dell’attentato, fatti con strisce chiodate sulle carreggiate; ovviamente dobbiamo procedere molto piano anche perché, le numerose guardie armate, fermano ed effettuano i controlli dei documenti.

Arriviamo a destinazione e cerchiamo una sistemazione; troviamo un buonissimo albergo in centro e da lì facciamo un programma.

La fermata, alla fine, è più per un favore che facciamo ad un nostro conoscente marocchino che lavora in Italia, il quale ci ha chiesto di passare dai genitori per salutarli da parte sua; a tale scopo, insieme a lui, avevamo registrato una videocassetta.

Prima cosa che facciamo a Rabat è questa e ci impegna tutto il pomeriggio e non solo; troviamo la sua famiglia, con qualche difficoltà nel cercare l’indirizzo.

Loro e tutti i familiari più stretti erano a conoscenza del nostro passaggio, per cui molto gentilmente lasciano le proprie attività lavorative e si dedicano a noi, ospitandoci anche a cena.

In qualche modo riusciamo a comunicare e questo ci permette di stare insieme; particolarità della cena è l’assenza dello donne della loro famiglia, che mangiano in cucina (usanze del posto).

Quindi, restiamo solo con gli uomini, io, Maurizio e, in via eccezionale, le nostre mogli; mangiamo, ridiamo, scherziamo, anche se, ovviamente, le nostre compagne sono contrariate, in particolare Barbara, che però in quell’occasione controlla la sua schiettezza 😉 .

Arriva il momento dove tutti insieme vediamo la videocassetta, anche le donne della loro famiglia, ed è evidente l’emozione che li assale nel vedere e ascoltare il loro ragazzo. Alla fine stiamo ancora un po’ tutti insieme; ormai a notte piena, ci congediamo e torniamo diretti in albergo, senza altre fermate.

Il giorno seguente facciamo una sommaria visita della città e sarà l’ultimo giorno di vera vacanza.

Per i più curiosi: in dogana saremo fortunati perché troviamo l’unico impiegato disponibile che, senza secondi fini, recupera dagli archivi l’originale del documento di importazione provvisoria della moto di Maurizio, che viene regolarmente annullato, così in meno di 2 ore siamo in territorio spagnolo. Ovviamente il mio amico gli ha voluto fare un cadeau.

Il resto è solo viaggio.